lunedì 21 gennaio 2013

Django Unchained - Ma come faccio a non volerti bene Tarantino?

Ieri sera sono andato a vedere il nuovo film di Tarantino, Django Unchained, e sono ancora piuttosto esaltato da quello che ho visto. Non posso che definirlo bello, ma quasi mi pare riduttivo. Dovete capirmi, sono un appassionato di western e ed è da quando ho visto la prima volta "Il buono, il brutto e il cattivo" che aspetto un film del genere.




Quello che lo rende davvero ottimo è un'atmosfera che, almeno per quanto mi riguarda, ho trovato solo nei grandi film di Leone e in altri del genere spaghetti western. Guardandolo, la mente non può che andare a quel tipo di film, colpevole anche l'uso massiccio della musica di Morricone e una sapiente regia. 
Nonostante tutte le analogie con il genere, Django, non può essere, però, considerato uno spaghetti western a tutti gli effetti. Nonostante tutto rimandi a quel genere, i tempi sono cambiati, gli spettatori anche e il cinema deve necessariamente mutare.
Django, quindi, dà per tutta la durata del film delle sonore pacche sulle spalle ai vari capolavori del passato, mantenendo però di fatto una strada completamente diversa. Una strada spettacolare con una storia epica ed eroica, che si rifà ai miti germanici di Sigfrido, che è riuscita a darci un nuovo tipo di western. 
Non il classico americano, capiamoci. Il protagonista infatti non è eroicizzato, come più volte abbiamo visto fare con individui di dubbia fama, ma è realistico e moderno. Una persona incazzata e piena di risentimento, a ragione, verso il mondo brutale della schiavitù in America. Il suo scopo, però, non è quello di aiutare gli altri schiavi o scatenare rivolte. Non che la cosa non lo tocchi, capiamoci, ma guardiamoci negli occhi, cosa potrebbe realmente fare un uomo, per di più nero, verso un intera società razzista?
In questo Tarantino è stato molto Leoniano, dandoci un uomo normale che suo malgrando, nella ricerca della moglie, si ritrova a dover dare tutto suo stesso. Nel farlo diverrà un eroe? Forse, ma più che altro sarà un simbolo per tutti gli schiavi. Questa sensazione si ha specialmente verso la fine, quando Django riesce a liberarsi nuovamente dalle catene degli schiavisti sotto gli occhi degli altri schiavi, mostrando in qualche modo un pensiero che nel 1858 stava già aleggiando nell'aria. La Guerra Civile era già nell'aria, la schiavitù stava per crollare, almeno ufficialmente. Django è quindi, in parte, il simbolo di quel cambiamento.
Quello che salta all'occhio è proprio il cambiamento, ma del protagonista. Da un inizio misero, un povero schiavo sottomesso, vediamo prendere forma un uomo dalle idee chiare. In ogni fase del film il suo personaggio subisce un cambiamento, a tratti eroico, a tratti brutale. Di certo un uomo che impara a combattere tenacemente per il suo scopo.
 Ad aiutarlo nel suo percorso, sia interiore che non, c'è quell'ironico cacciatore di taglie tedesco, Schultz, che nel  renderlo libero nei fatti, si preoccuperà di renderlo tale anche nello spirito. Uno Christoph Walzt titanico che ha reso il personaggio di un'irresistibile simpatia, mantenendo un certo distacco dai canoni classici dei protagonisti dei western. 
Come antagonisti troviamo attori di prim'ordine come Di Caprio e Jackson, anch'essi, seppur in maniera minore, diversi dai classici nemici. Nemici in primo luogo psicologici, interiormente all'opposto dei protagonisti e non tanto interessati a fermare Django nel raggiungimento del suo scopo ma di mettere in chiaro la loro superiorità. 
Forse proprio in questo sta la differenza con i vecchi film dell'epopea western in realtà. Non ci sono grandi duelli, non vediamo mai Django in difficoltà con la pistola, nessuno è alla sua altezza in quell'ambito. Si tratta quasi sempre di un duello mentale e verbale. I dialoghi sono lunghi e studiati. Non annoiano ma, anzi, appassionano. Questo, del resto, è sempre stato uno dei punti di forza di Tarantino che ha sempre reso le chiacchierate fra i personaggi uno dei motivi per guardare i suoi film. 
Ovviamente, però, non potevano mancare le sparatorie. 
Definirle epiche è dire poco, sono spettacolari. Forse non troppo realistiche, ma intricate, piene di sangue che si spatascia da una parte all'altra, di gente che urla, che viene ripetutamente colpita dalle pallottole vaganti e di corpi che vengono usati per recuperare le armi o per copertura. Forse invece mi sbaglio, si tratta di sparatorie nel vero senso della parola e meno edulcorate di quelle classiche.

E potrei continuare ancora. Annoiarvi nello spiegare perchè questo film è da andare vedere assolutamente! 
Le musiche, sì dai anche quella di Elisa, la regia, la fotografia, le comparsate, le scene crude, quelle divertenti....  in realtà è, però, un insieme di tutto che rende il Django Unchained un capolavoro!
Un nuovo genere dell'epopea West, che potremmo chiamare Tarantino-Western, di un regista che, sempre più, merita la nostra stima, a cui Leone avrebbe personalmente stretto la mano, e a cui voglio fare una preghiera: FANNE ALTRI! TI PREGO!!

Dopo tutto questo, però, cosa possiamo dire di Jaime Foxx?  Bravo o meno? Non so, io nel film ho visto solo Django.





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