mercoledì 20 gennaio 2016

Revenant - L'anno comincia molto bene!


Alle volte ci sono dei film che ti piacciono così tanto che quando torni a casa non sai nemmeno il perché. Ci pensi, ci ripensi e ti sembra di notare solo i lati deboli, di non essere in grado di dare una definizione unica e inequivocabile di quello che hai visto. La solita compagnia di Credenzio e Sentenzio sembra decisa a parlarne male o bene e tu, perennemente nel mezzo, non trovi nelle loro critiche qualcosa in grado di fare chiarezza nella tua mente. L'unica cosa certa è che l'ultima opera di Alejandro G. Iñárritu  è molto complessa, ben più di quanto un semplice sguardo possa dire. Complessa nella sua semplicità, come la trama che può essere riassunta in cinque parole: Revenant parla di vendetta.

La storia di Hugh Glass, ripresa dal romanzo di Michael Punke  del 2003, è poco più di una leggenda americana. Una guida del Nord Dakota che come uno spirito vendicativo torna dalla morte per uccidere quei compagni che lo avevano abbandonato e lasciato a crepare in mezzo a indiani e crepacci. Un racconto sicuramente affascinante che però, nella Hollywood moderna, è stato usato e abusato in qualsiasi salsa. 
Nei confronti della trama, quindi, non si ha quel senso di mistero, sia pure illusorio, che si potrebbe pensare, è chiaro fin dal principio che il film andrà a finire proprio in quel modo. I protagonisti, quindi, si muovono su binari ben stabiliti e come nel caso della trama anche loro non sono questo fiore dell'originalità. Capiamoci, il cast è assolutamente di prim'ordine, tutti i personaggi sono caratterizzati alla perfezione e si muovono senza sbavature all'interno della storia. Seguendoli si ha, però, la sensazione di averli già visti, anzi di conoscerli praticamente da sempre. Come se fossero della sorta di archetipi di tutti gli altri personaggi dello stesso tipo. 
La loro interpretazione, specialmente quella di Di Caprio, è resa all'osso. Poche battute, espressioni intense, quasi animalesche, e gesti che spiegano più di mille parole, quasi che questo film fosse muto. La prova attoriale in questo caso è prettamente fisica, portata ai limiti di sopravvivenza, e spiega seppure in parte la bellezza di questo film. 
Tolta una trama, per così dire, dominante e un’interpretazione più accentuata degli attori è il duo regia e fotografia a prendere il sopravvento. A livello visivo, Revenant, e pressoché perfetto. Le scene si susseguono a ritmo lento, con inquadrature che indugiano sul cielo o sulla punta degli alberi, con panoramiche di un bosco o di una prateria innevata che vengono quasi disturbate dall'ingresso del personaggio. Il dettaglio di un fuoco, la cenere incandescente che vola nel cielo scuro, il vento che sferza gli alberi, tutto diventa parte di questa sorta di romanzo grafico, che racconta senza spiegare e in cui l'ambiente diventa la colonna portante.


Difficile da spiegare a parole!

Come nel caso di certi film di sopravvivenza estrema i personaggi lottano contro l'ambiente, ed esso non è qualcosa di immutabile, ma di vivo. Un vero e proprio protagonista raccontato nel migliori dei modi, capace di passare dai lunghi silenzi di una nevicata allo stridere del vento impetuoso, dai cupi toni di una foresta immersa nella nebbia alla grandiosità di un lago ghiacciato in mezzo alle montagne. I suoi umori possono essere la vita e la morte di questi miserabili uomini costretti all'impossibile per resistere, per vedere una nuova alba. 
Se si vuole trovare un punto forza di questo film sta nel aver raccontato una storia semplice nel miglior modo possibile, senza addolcirla e senza omettere di mostrare la vita dell'epoca in cui è ambientata. Non si può non notare con quale attenzione ai dettagli è stato ricreato il mondo dei cacciatori di pellicce, dei trapper e del centro degli Stati Uniti all'inizio del diciannovesimo secolo, non solo a livello visivo ma anche psicologico, nei personaggi. 
Sommando tutto, questo film ha il grande pregio di farti immedesimare non tanto con i protagonisti ma con la situazione in cui stanno vivendo. Facendoci sentire, quindi, quella disperata accettazione che può essere riassunta in quello sguardo finale di Glass, uno sguardo che vale molto più di un Oscar.  

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